Il patto Fiat-Chrysler, una nuova era

Sergio Marchionne, l’ amministratore delegato del gruppo Fiat-Chrysler, durante un convegno tenutosi all’Università Bocconi di Milano, ha chiarito minuziosamente il perché della promettente fusione italo-americana.

UN OCCHIO AL FUTURO – Le radici di tale scelta, secondo Marchionne, risiedono nella necessità di dare un futuro migliore  alle due aziende: una ormai eccessivamente vincolata alle vetture del segmento basso e al solo mercato europeo(Fiat) , e l’altra (Chrysler) messa in ginocchio sia dalla tempesta finanziaria che ha colpito gli Stati Uniti che da una cattiva gestione da parte dei propri manager, evidentemente poco abili nel tenere alto il livello d’innovazione generale. «Grazie all’alleanza con Chrysler», ha chiarito Marchionne, «la Fiat europea ha la grande occasione di rientrare in un disegno globale, beneficiando della possibilità di esportare in mercati extra-europei e condividendo il costo di sviluppo di architetture che avranno un’applicazione parallela in America».«Tutto ciò», ha aggiunto l’amministratore delegato del Lingotto, «ha avuto un impatto enorme sulle nostre due aziende, anche a livello culturale. Le ha spinte ad aprirsi e a confrontarsi, ha creato un clima di fermento e di stimoli continui, ha generato occasioni di crescita professionale e personale come mai prima nella loro storia».Con un’ultima «confessione», inoltre, Marchionne ha precisato: «Mentirei se vi dicessi che tutto ciò non ha avuto impatto anche su di me. La mia agenda e la mia vita sono state completamente stravolte negli ultimi tre anni».

IL TEMA INTEGRAZIONE –  «C’è una ragione precisa», ha detto, «per cui ho deciso di mantenere la carica di amministratore delegato di entrambe le aziende e lasciar perdere diverse ore di sonno. Ed è perché credo che, per il successo dell’integrazione, sia assolutamente necessario garantire il più stretto collegamento possibile tra Fiat e Chrysler. È l’unico modo per evitare che le barriere geografiche che abbiamo abbattuto con la partnership non si trasformino in barriere culturali, per gelosia o per nazionalismo». «La storia dell’auto», ha concluso Marchionne, «ci ha lasciato alcuni esempi di alleanze che sono fallite perché non c’era una reale volontà di condividere competenze ed esperienze, perché si è generato un clima di diffidenza e disparità tra i due partner, preoccupati più di difendere ognuno le proprie tecnologie che non di guardare a un futuro in comune».

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